Massimo “Tine” Tinetti
La nascita di una bambina in seno ad una coppia, è un evento atteso con trepidazione. Ben presto però, la cagionevole
salute della neonata, diventa il punto di partenza per un involontario viaggio nel tempo che condurrà il piccolo nucleo
familiare, verso inaspettate e sorprendenti vicende. La variegata umanità dei personaggi, via, via, incontrati nel corso del
romanzo, è lo spunto per l’approfondimento di temi da sempre cari a chi vorrebbe intraprendere un percorso di crescita
interiore.
L’introspezione, la famiglia, il rapporto con i figli, l’amore e la guerra, sono il corollario indispensabile per svelare la
compassionevole umanità che ognuno dei protagonisti rivolge verso gli animali e la natura. Gli animali diventano i
protagonisti di un romanzo dove i temi della sperimentazione animale, della caccia e della vita in comune con l’uomo, sono
affrontati con discrezione. Il fine ultimo, è quello di offrirci uno spunto di riflessione, che sia compatibile con la possibilità
d’instaurare una convivenza pacifica ed amorevole con tutti i meravigliosi esseri viventi del creato.
Le riflessioni animaliste che i protagonisti del romanzo ci propongono, sono lo sfondo su cui s’innestano le vicende dei
coniugi Leone. Sebbene spinti dalla necessità di offrire un’aspettativa di vita migliore per la propria figlia, i coniugi Leone
saranno guidati per mano, dalla pregnante presenza dello Spirito, verso il compimento del loro destino. Lungo questo percorso,
in cui presente e passato intrecciano un progetto di vita che varca la soglia temporale della morte, l’autore ci invita
delicatamente alla ricerca dell’unica strada che ha un cuore.
Non è forse un gran bel mistero la vita?
Nacque attesa ed inaspettata al contempo. Attesa, per i nove lunghi mesi oscillanti tra la trepidazione e l’ansia, tra la
speranza e la paura; inaspettata, perché portata da un vento fresco e gio-coso che sapeva d’anticipo di primavera.
Impiantata nel ventre dell’amore come un seme che, affida-to il suo destino alla generosità della madre terra, attende l’umidità
delle rugiade notturne per dare sollievo all’arsura del giorno.
Figlia tra i figli del mondo non poteva immaginare il destino che l’avrebbe attesa, o forse si. Consapevole di tutto;
consape-vole del disegno divino ancor prima che il germoglio della vita trovasse terra fertile tra le acque chete della placenta
materna.
Ornella entrò nella sala dei tracciati come un turbine festo-so. Era vestita di bianco. Gli zoccoli ortopedici le
avvolgevano i piedi ed un paio d’occhiali da vista, dotati di lenti piccole e ro-tonde, faceva bella mostra di se sul viso giovanile.
Aveva capelli color castano scuro ed una decisione tipicamente femminile. Chiuse la porta alle proprie spalle e, avvicinandosi a
Silvia, si sedette accanto a lei per esaminare l’esito dell’ultimo tracciato.
“Come ti senti…?”; chiese Ornella con tono conciliante.
“Non vedo l’ora che nasca. Non ce la faccio più. Mi sento gonfia come una mongolfiera.” Rispose debolmente Silvia.
.......
Da Silvia ad Elisa
La strada era quasi deserta. Una pioggerellina insistente pic-chiettava il parabrezza senza tregua, mentre il
tergicristallo spazzava via ritmicamente il tenue sciame di gocce che, con te-nacia, tentava d’aggrapparsi al vetro anteriore
dell’auto. Dalla carreggiata contraria i fari delle macchine illuminavano con vio-lenza la coltre umida che rivestiva il lunotto,
creando giochi di luce inverosimili. Le gocce d’acqua che scivolavano via lenta-mente, andavano a creare esili rivoli che
schizzavano sino all’orlo del parabrezza. Erano decine. Poi diventavano centinaia; poi diventavano migliaia. Improvvisamente,
poi, il tergicristallo decideva di prendersi un momento di riflessione. A causa del suo arresto, un infinito esercito di particelle
d’acqua riusciva a colonizzare il parabrezza, facendolo somigliare sempre di più ad una glassa trasparente.
Claudio aveva lasciato l’ospedale per recarsi verso casa a prendere ciò che Silvia gli aveva richiesto.
Salendo in macchina fu sommerso da una marea profonda. Capiva che la sua vita era giunta ad una svolta. Sicuramente sa-
rebbe cambiata, ma non aveva idea alcuna di come sarebbe avvenuto il cambiamento. Sospettava una trasformazione
d’abitudini, un ridimensionamento della libertà personale. L’idea di notti insonni lo atterriva, così come la paura di doversi
assu-mere troppe responsabilità. Stava diventando padre e non vole-va smettere d’essere figlio; eppure, in fondo in fondo, un
canto gioioso lo stimolava. Era felice, profondamente felice.
.......
Numero 13 – La mistificazione
Elisa crebbe velocemente circondata dall’affetto opulento dei suoi genitori. Subito dopo essere stata lavata e pettinata, fu
vestita con il camicino rosso della buona fortuna, in ossequio alla tradizione. Il colore inizialmente violaceo della sua carna-
gione, che tanto aveva impressionato Claudio, si trasformò ben presto in un piacevolissimo colorito rosato del viso, su cui spic-
cavano due guance rossastre simili a fragole appetitose. La vestirono con una tutina bianca sulla quale erano ricamati alcuni
cuoricini rosa. Sembrava un bambolotto per via della pelle tersa e del peso d’assoluto rilievo con cui era venuta alla luce. Quan-
do le tende della nursery venivano aperte alla massa di genitori e parenti, i quali si accalcavano dietro il vetro come se stessero
osservando i pesciolini all’interno di un acquario, i quattro chili e trecentottanta grammi di Elisa, spiccavano in tutta la loro
ma-gnificenza. Messa a confronto con gli altri neonati, che come lei giacevano nei rispettivi lettini, sembrava avere alcune
settimane di vita in più.
Silvia, dopo tutta la fatica fatta, fu molto orgogliosa degli sguardi della gente che cominciarono a posarsi senza tregua
sul-la sua Elisa.
Non avrebbe mai immaginato di partorire una figlia così bella. Perlomeno pensava che, appena nata, Elisa non sarebbe
stata un modello d’estetica. E’ risaputo che di frequente i bebé, nei primi giorni di vita, non hanno ancora raggiunto il loro
splendore. Molte volte i brutti anatroccoli impiegano un po’ di mesi prima di trasformarsi in delicatissimi cigni.
.......
Il perdono nella profondità del cielo
Arrivarono tutti e cinque puntuali; Giuseppe con la sua Lilly cui aveva fatto indossare una deliziosa pettorina di colore
rosa, Claudio e Silvia con la piccola Elisa infagottata in una tutina bianca.
Il tepore della giornata di sole aveva lasciato spazio ad una brezza pungente. Le serate cominciavano ad essere piuttosto
fredde nonostante il calendario indicasse che l’estate non era ancora giunta al termine. Il cielo era terso e limpido. Si poteva-no
scorgere stelle in ogni angolo della volta celeste. Per gli amanti dell’astronomia sarebbe stato un gioco da ragazzi rico-noscere le
costellazioni che danzavano stabilmente nell’immutabile firmamento. I ragazzi, invece, riuscivano a di-stinguere a stento
quelle dell’orsa maggiore e dell’orsa minore. Verso nord, il Cervino era oscurato dal promontorio sinuoso su cui si estendeva il
comprensorio sciistico delle Cime Bianche. Ad Ovest le Grandes Murailles, spruzzate da una recente nevicata notturna,
incombevano minacciose sul fondo della valle, appena prima che l’occhio cadesse sulla figura rassicurante, simile ad un grande
Buddha dal ventre roccioso, del Pancherot. Ad Est, invece, la Gran Becca faceva bella mostra di se; illuminata com’era dalla
splendida coltre lattiginosa della luce lunare.
L’aria era carica d’ossigeno e saturava i polmoni con i pro-fumi delicati della piacevole serata.
.......
Renzo Charrod e le inconsuete manifestazioni dello Spirito
Rimasi in silenzio a lungo. Le parole di Renzo mi fecero ri-flettere. Il suo modo di parlare pacato e cadenzato, la sua
voce profonda e leggermente roca, avevano scavato un solco dentro di me. In quel solco cominciarono a mescolarsi pensieri,
ricordi, affanni e tormenti. Le sue parole ebbero lo strano potere di di-vidermi. Riuscii a seguire il filo logico del suo
ragionamento, ma non riuscii ad afferrare immediatamente l’importanza che ebbe su di me; eppure la strada era stata tracciata.
Renzo ebbe la for-za di squarciare il muro che lentamente io mi ero costruito intorno. Era un muro di sordità e di cecità.
Senza rendermene conto, la solitudine mi aveva allontanato dalla mia vera essenza e, per uno strano meccanismo d’autodifesa,
diventai insensibile a qualsiasi tipo di sollecitudine interiore. Quel modo di aprirsi di Renzo nei miei confronti mi fece pensare.
In fondo io restavo ai suoi occhi un forestiero; almeno era ciò che credevo. Mi resi conto della mia incapacità di comunicare
accorgendomi, tutta-via, che non apparteneva soltanto a me, ma era diffusa un po’ a tutti gli strati sociali. Ebbi la percezione
che si trattava di un di-sagio caratteristico della società contemporanea, nella quale la tecnologia aveva assunto un ruolo
dominante nel modo di co-municare. Dovetti sembrare molto pensieroso, quando esclamai sommessamente:
“Già la libertà…”.
.......
Duncan Campbell
La domenica mattina, di buonora, Elisa andò a svegliare i suoi sonnacchiosi genitori che, pigramente, stavano ancora
dormendo profondamente. Erano reduci da una torrida notte d’intensi assalti amorosi, con cui avevano sfinito le proprie non
più giovani membra.
Elisa si mise a fianco del letto, dal lato in cui dormiva Silvia, e rimase in piedi nell'attesa del risveglio di sua madre.
Ogni tan-to sussurrava timidamente “Mamma”, nell’intento di svegliarla, oppure ripeteva “Mamma, i cavaii (i cavalli) ”.
Ad un tratto Silvia si girò nel letto voltandosi verso Elisa. Nel sollevare stancamente una delle due palpebre, si
spaventò a morte per la presenza inaspettata della figlioletta.
“Ah, ma chi sei?” fu lo strillo lanciato da Silvia.
Era uno degli acutissimi e fastidiosi strilli che solitamente Silvia emetteva alla vista di un ragno più grosso della media,
o alla presenza di qualche insetto dall’aspetto insolito.
Il gracchiare della moglie, fece ridestare anche Claudio che sbadigliò profondamente, per poi crollare miseramente sul
fian-co opposto.
“Elisa, sei tu tesoro mio? Mi hai fatto prendere uno spaven-to!”; disse ormai rinfrancata Silvia.
“Claudio, dai! Svegliati! Oggi abbiamo promesso a Silvia di andare a vedere i cavalli”.
.......
Il Dio che è in noi
Passarono un paio d’ore nel corso delle quali Duncan si ad-dormentò; sfinito dal dolore e vinto dalla tensione. Quando
Douglas e James, lo stalliere, giunsero in suo soccorso con i ca-valli e le munizioni di scorta, dell’orso non vi era più alcuna
traccia. Si potevano scorgere le impronte sul terreno umidiccio e la sagoma della sua mole stampata in mezzo agli arbusti. Ja-
mes aveva quasi settant’anni, era stato un giovane scavezzacollo ed aveva partecipato anch’egli ad innumerevoli battute di
caccia. Gli sembrò del tutto inverosimile che il racconto dei due ragazzi potesse avere un briciolo di fondamento.
Tuttavia, le impronte stavano a testimoniare che Douglas e Duncan avevano dichiarato la verità.
I due uomini trovarono Duncan semi svenuto. Stava farfu-gliando qualcosa d’incomprensibile circa la presenza di un angelo e
circa il fatto che l’orso gli aveva salvato la vita.
Pensarono entrambi che l’effetto dell’alcool unito ad un probabile principio d’infezione, stava portando inesorabilmente
Duncan verso il delirio. Douglas concordò con James che la cosa più opportuna da farsi, sarebbe stata quella di tacere a
chiunque il reale svolgimento dei fatti, poiché entrambi avreb-bero rischiato di essere considerati dei pazzi. Tutto il loro
microcosmo di giovani nobili, avviati ad una brillante e presti-giosa carriera militare, sarebbe stato messo seriamente in di-
scussione.
.......
La casa che fece sorridere i gatti
Il 1928 passò celermente. Duncan e Clara, furono impegna-tissimi nella conduzione dei lavori che avviarono la mia
trasformazione; quando mi comprarono era la primavera di quell’anno. Clara da sempre sognava di poter vivere in una casa che
fosse l'espressione del suo buon gusto. In Duncan ella tro-vò l’uomo giusto per assecondare i propri sogni. Egli aveva
disponibilità economiche sufficienti per esaudire i desideri re-conditi della sua compagna. La sobrietà di Duncan era la misura
della sua signorilità. Nessuno ebbe mai modo di criticarlo per atteggiamenti di superiorità. Nessuno ebbe mai modo
d’invidiargli l’agiatezza economica di cui era in possesso. Dun-can era una persona semplice che non perse mai il senso della
misura; mai un comportamento sopra le righe, mai un malde-stro tentativo di ostentare la propria ricchezza, mai un
deprecabile desiderio di mettersi a brillare di luce artefatta. Fu così che riuscì a farsi voler bene dalla gente del paese dove vi-
veva Clara. La sua posizione sociale non gli impedì, tuttavia, di frequentare, saltuariamente, le locande della zona. Qualche vol-
ta arrivava a sera inoltrata e, dopo aver offerto da bere a tutti gli astanti, si lasciava trascinare in acrobatiche ed estenuanti
danze popolari insieme alla sua amata Clara. Una sera, Duncan volle sorprendere i suoi compagni di brindisi; quando si
presentò alla locanda imbracciando la cornamusa ed indossando il kilt che riproduceva i colori del tartan, furono in tanti a
scoppiare in una sonora risata. Il tartan del clan Campbell aveva una base verde su cui intersecavano le ampie fasce azzurre e
blu. Il dise-gno era completato dalle striature più fini di colore giallo.
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Clara, Elizabeth e l’abisso
Duncan, al suo ritorno in patria, fu assegnato al 602° squa-drone della R.A.F. di stanza a Drem; in Scozia. Il 602°
squadrone era all’epoca alle dipendenze del 13° gruppo. Il “Fighter Command”, ossia il “Comando Caccia” della R.A.F., asse-
gnò al 13° gruppo il controllo della Scozia e dell’Inghilterra settentrionale. Il 602° squadrone aveva per motto la frase “Cave
leonem cruciatum”. Il simbolo dello squadrone era un leone ram-pante di colore rosso brunito che campeggiava sopra ad una
croce di Sant’Andrea. Lo sfondo sopra il quale si stagliava il le-one, era di colore bianco ed era contornato da una cornice blu.
Lo squadrone rendeva così omaggio, alle proprie origini scozze-si. Duncan, al fine di sottolineare ancor di più il suo
attaccamento alla terra natia, chiese ed ottenne il permesso di poter dipingere, sulla parte destra del timone, il simbolo ed il
motto del suo antico clan: i Campbell di Breadalbane.
Ci vollero alcuni mesi, prima che lo squadrone diventasse un’unità caccia operativa. Quando il 14 Gennaio del 1939 Dun-can
ed i suoi compagni ricevettero alcuni aerei Gauntlets, gli intrecci insondabili del destino si erano già manifestati, sotto forma di
lettera, nella vita di Duncan.
L’appuntamento con i bizzarri espedienti del disegno divi-no, si materializzò nel corso del mese di Novembre dell'anno
1938. Quella mattina i ragazzi dello squadrone si erano svegliati come il solito di buon ora. Duncan, che teneva in mano una
tazza di the bollente, si sentì picchiettare sulla spalla destra.
.......
Finché morte non ci separi
Il silenzio di Clara, che Duncan sembrò soffrire con parti-colare intensità, fu giustificato da una di quelle terribili prove
che la vita ogni tanto ti sbatte in faccia. Sono prove che sem-brano voler verificare la tua capacità di reazione, quasi a voler
tastare la tua fermezza e la tua sorprendente attitudine a risorge-re dalla sofferenza.
Personalmente, non avrei mai voluto assistere ad un epilogo così tragico di quel limbo vitale che aveva corroborato la mia
intensa ed appagante convivenza con Clara e Duncan.
Una stretta al cuore offuscò la mia gioia, cosicché che non riuscii più a riavermi. Io passai anni d’oblio, dimenticata da
tut-to e tutti e sepolta dal tumulto degli eventi che accaddero rovinosamente in una sequenza tanto illogica, quanto dolorosa.
Il primo dolore che provai fu causato dalla partenza di Duncan. In seguito alla dipartita di Jack, un altro elemento ma-schile
venne a mancare all’interno del mio microcosmo. L’assenza di Duncan fu compensata dalla leggiadria del soffio vitale che
infuse a Clara, il coraggio di partorire una splendida creatura: Elizabeth.
Quando Elizabeth nacque, ella venne a riempire il vuoto la-sciato da Duncan. Lei non stava surrogando la figura
paterna nell’alveo affettivo di Clara. Lei stava semplicemente commisu-rando la sua dolcezza con il talento innato di madre che
Clara possedeva. Clara, da sempre, desiderava potersi occupare di una piccola ed indifesa creatura; il suo sogno più grande era
proprio quello di liberare tutta la sua fulgida ed atavica voglia di mater-nità.
Duncan fu per lei l’uomo giusto.
.......
Canzone:
Dark End Of The Street
Esecutore:
Ry Cooder
Album:
Boomer’s Story
Anno:
1972-Reprise
Autori:
Dan Penn and Chips Moman
Editore:
Press Music Co, Inc. BMI
Canzone:
Telegraph Road
Esecutore:
Dire Straits
Album:
Love Over Gold
Anno:
1983-Phonogram
Autore:
Mark Knopfler
Editore:
Rondor Music International Inc.
Canzone:
Mama’s in The Moon
Esecutore:
Marc Cohn
Album:
The Rainy Season
Anno:
1993-Atlantic
Autore:
Marc Cohn
Editore:
Museum Step Music
Canzone:
In Memory of Elizabeth Reed
Esecutore:
Allman Brothers Band
Album:
At Fillmore East
Anno:
1971-PolyGram
Autore:
Dicky Betts
Editore:
No Exit Music, BMI
Canzone:
Sweet Home Alabama
Esecutore:
Lynyrd Skynyrd
Album:
Second Helping
Anno:
1974-MCA
Autore:
Ed King, Gary Rossington, Ronnie Van Zant
Canzone:
Cloudy Day
Esecutore:
J.J.Cale
Album:
Shades
Anno:
1980-Mercury
Autore:
J.J.Cale
Editore:
Audigram Music
Canzone:
New Biography
Esecutore:
Van Morrison
Album:
Back On Top
Anno:
1999-Pointblank
Autore:
Van Morrison
Editore:
Exile Publishing Ltd
Canzone:
Fallin’ Rain
Esecutore:
Neville Brothers
Album:
Brother’s Keeper
Anno:
1990-A&M
Autore:
Link Wray
Editore:
Greyhound Music
Canzone:
Have a Little Faith in Me
Esecutore:
John Hiatt
Album:
Bring The Family
Anno:
1987-A&M
Autore:
John Hiatt
Editore:
LillyBilly Music
Canzone:
Little Wing
Esecutore:
Steve Ray Vaughan
Album:
The Sky Is Crying
Anno:
1991-Epic
Autore:
Jimi Hendrix
Editore:
Bella Godiva Music Inc.